mercoledì 22 febbraio 2012

Delle piccole donne io ero Jo ...: I cavalli vincenti

Delle piccole donne io ero Jo ...: I cavalli vincenti: " Il cavallo vincente si vede all'arrivo", recita un vecchio adagio. Solo tagliato il nastro d'arrivo si vede chi ha avuto abbastanza forza...

I cavalli vincenti

" Il cavallo vincente si vede all'arrivo", recita un vecchio adagio. Solo tagliato il nastro d'arrivo si vede chi ha avuto abbastanza forza nelle zampe e fiato per battere gli altri concorrenti e vincere. Vale lo stesso per noi esseri umani? Solo al traguardo sapremo dare un senso alla nostra vita e capire finalmente se è stata vissuta o sopravvissuta. Se siamo stati cavalli vincenti?
Un'altra scuola di pensiero recita invece che "bisogna dare un senso ad ogni giorno della propria vita".
La somma di quanto fatto darà poi significato al Tutto.
Ma se viviamo giorno per giorno, navigando a vista, come possiamo capire il senso se non abbiamo neanche una mappa che ci dica dove andare?
Ogni giorno faccio del mio meglio, mi do da fare, cerco di costruire, andare verso una meta, fare qualcosa...eppure finisce la giornata e mi sembra di non essermi mossa dal punto di partenza. Che il movimento della vita sia così lento da sembrare impercettibile?
Quale sarà il senso di fare un lavoro come un automa? BISOGNA trovare il lato buono anche in questo...questo farebbe un cavallo vincente! Ma se io aderissi all'altra scuola di pensiero potrei contestare questo, dicendo che ogni giorno devo dare un senso a ciò che faccio! E se oggi il senso fosse il non lavorare? Andare un pomeriggio in giro a respirare la vita. A vedere facce, a perdermi nelle strade. Oppure ad isolarmi, musica nelle orecchie, dietro un buon libro?
La vita segnata o l'anarchia che non fa mangiare? Neanche la frustrazione, però, fa mangiare!
"Ho avuto grandi ambizioni e sogni turgidi, ma i sogni li hanno avuti anche il garzone e la sartina, perchè tutti sognano. Quello che distingue le persone le une dalle altre è la forza di farcela, o di lasciare che sia il destino a farla a noi". (F.Pessoa)

                                                                                                                    J.

giovedì 9 febbraio 2012

Io copio, che tu copi, che egli copia...

Da giorni, sfogliando le riviste di moda e visitando i blog delle più gettonate fashion blogger, mi viene da chiedermi se sia ancora possibile poter definire uno stile come originale. Poter affermare di qualcuno che ha uno SUO stile, inconfondile, inedito. Da quel che vedo, direi di no. Si dice che il rock sia morto negli anni '80. La moda, intesa in senso lato come abiti, mood, stile, è vissuta un pò di più ma non so se fino ai giorni nostri se non intesa, forse, come una continua rivisitazione di cose già viste!
"Guarda che bei leggins ho comprato" "Non si chiamano più panta??" "Ehi, hai visto che collezione fluo ha proposto Pinco Pallo" " Sarà il caso di rispolverare il maglione fluo di mio cugino del 1982??"...e gli scaldamuscoli? E la vita alta? E le gonne svasate? E le grandi borse in raffia? E i sandali Capri? Sono esempi forse troppo semplicistici, ma quando vedi ragazze, indicate come nuove guru della moda, fotografarsi orgogliose in short e stivali in gomma senza calze, come se fosse il massimo del "mai visto prima", non puoi non pensare a Kate Moss al festival di Glastonbury al braccio di Pete Doherty. 
Il nude look lo ha tenuto a battesimo Jane Birkin (e che madrina!), il vichy lo ha lanciato BB, il tubino è alla Audrey Hepburn, etc, etc.
Si parla di un ritorno agli anni '40, '50, 60,'70...sempre un rifarsi al passato, ovviamente in salsa moderna.
La moda dovrebbe suggerire, ma sta a noi creare il nostro stile personale. Eppure, inevitabilmente, è più facile ricadere nell'effetto carta carbone. Copie di copie di copie di persone favolose e originali.
Ovvio che spetterebbe a noi essere quelle persone, ma in quanti ci riescono?
Persa in queste riflessioni mi sono sentita orgogliosa di me per l'utilizzo delle pochette di tutte le dimensioni: grandi da giorno, piccole ed effetto gioiello per la sera, colorate e divertenti....le mie amiche non ne hanno neanche una e continuano ad inseguire mega shopper viste e riviste, mentre le riviste di moda le hanno elette a must dell'anno!
Però...c'è un però...! Le mie, a ben vedere, sono pochette vintage ereditate da quella stylist sconosciuta ai più che è mia mamma...Accidenti, anche questa volta qualcuna c'è arrivata prima!
                                                                                                              J.


                                                                                                                              J.

martedì 7 febbraio 2012

Woman Jeckyll e Mrs Mummy


Il tema non è originale, anzi! Non c’è occasione di luogo e tempo in cui due o più donne non ne parlino tra loro. Sconvolte, arrabbiate, deluse, sorprese, raramente in pace con se stesse: fare un figlio.
Immagino che diversi anni fa non ci fosse un bel niente di cui parlare: la gente si sposava e faceva figli. Non credo che i nostri genitori, i padri in particolare, si fossero mai interrogati fino alla sfinimento, come è in uso fare ora, sul senso di “paternità”.
I figli si FACEVANO. Poi si era giudicati come genitori: attenti, disattenti, assenti, permissivi, severi. Ma l’azione precedeva le estenuanti sedute psicanalitiche che accompagnano la vita quotidiana delle coppie moderne.
LEI “ Voglio un figlio” LUI “Non mi sento pronto” Lei “ E quando lo sarai? Ho già 33,34,35,36,37, etc anni” LUI “ Non escludo l’idea ma ora non è il momento” LEI “ E perché no??” LUI “ Non abbiamo la sicurezza economica, dobbiamo ancora comprare casa, siamo già troppi al mondo, sono troppo giovane (????), etc..” LEI Ho 33,34,35,36,37, etc anni…” LUI “ Il tuo è un ricatto psicologico! Vuoi mettermi fretta, mi sento pressato!” Potrei continuare all’infinito.
 Analizzando lo schema base della conversazione tipo “voglio un figlio-io no”, emergono almeno tre elementi fondamentali:
1)  Nella stragrande maggioranza dei casi lei vuole un figlio, lui no
2)  Lei sente il passare inesorabile del tempo, lui no;
3)  Il parlare di fare un figlio mette in fuga lui, figurarsi il farlo…!
Il grande fantasma che aleggia su tutto è l’orologio biologico che con il suo tic, tac, tic tac inesorabile ricorda a noi donne che il tempo per fare i figli non è eterno, essendosi già spostato troppo in là per una serie di cause che tutte conosciamo: studio, lavoro, ricerca del lavoro, ricerca della propria autonomia (economica, professionale, personale)… Orientativamente a fare solo la metà di queste cose ci si ritrova  su per giù a 35 anni…!!
Ed è realmente triste pensare alla fretta che possa venire di riempire la culla vuota, a quanto ciò spaventi, forse giustamente, lui che fino all’altro giorno ci ha visto sognare una bella vacanza in un posto caldo oppure cambiare l’arredamento del salotto. Poi scatta il tic tac..e ci trasformiamo in Woman Jackyll e Mrs Mummy. E lui scappa, si spaventa: all’improvviso irrompe un impegno (e che impegno!) non pianificato, non previsto, non considerato. Oddio!!!
“Non sei più la stessa, mi soffochi, non parli d’altro” sono le frasi successive…
Per me è la solita storia dei tempi c.d. “moderni”: si parla, parla, parla, si parla, si analizza, si sviscera, si discute di ogni cosa. Anche di quelle che andrebbero solo fatte. Si voglio creare concetti moderni, come quello di “paternità “ che non può essere il corrispettivo di maternità, che diventano oggetto di elucubrazioni mentali infinite in cui due parlano, si scontrano e non succede niente.
Il mio sogno è che quando dovrà  succedere non si parli. Di niente. Ma che lo si senta.

                                                                                                                        J.


venerdì 3 febbraio 2012

Una donna in carriera

Quante trentenni Tess McGill ci sono al mondo?? Cresciute con il mito della donna in carriera che sfida le avversità e, armata di tacchi e di una buona dose di faccia tosta e competenza, dopo le naturali difficoltà che danno pepe alla storia, riesce ad affermarsi grazie alla sua intelligenza e preparazione?
Io ci ho creduto! In famiglia, a scuola, ovunque, l’imperativo era “ studia e dimostra chi sei!”… “ Il cavallo vincente si vede all’arrivo” mi ammoniva mia zia!
E allora giù sui libri, di corsa a scuola e poi all’università, per poi buttarsi nella pista indiavolata del mondo lavorativo…Ho la mia buona dose di faccia tosta e preparazione ma non è successo un granchè!
Si, si…c’è la crisi, siamo la generazione dei bamboccioni, degli sfigati, del “posto fisso che noia!”…ma la perdita dei sogni chi ce la ridarà indietro???
Bisogna dire GRAZIE di avere un posto di lavoro…ma a noi hanno fatto sempre credere che il lavoro non fosse solo una necessità, ma anche ciò che ci avrebbe realizzato nella vita, il campo di prova dove dimostrare quanto si vale, l’affermazione di noi stessi!
Molto di più del “portare la pagnotta a casa”! Noi dovevamo lottare per l’affermazione ed il successo!
Chi lo va a dire a Tess McGill che non sarà mai altro che la segretaria che vive all’ombra del capo, anche se è dotata di una intelligenza pronta e molto vivace?
Chi le dirà che, anche volendo e meritandolo, la sua vita non cambierà?
Questa è la mia versione amara dei fatti, e non sempre ho voglia di spolverarla di zucchero…
Però poi ci sono giorni in cui capita che ti imbatta nel tuo commercialista, che prima di essere commercialista è stato tappezziere, vetraio, operaio, etc, e che lui ti dica “ Non è finita finchè non è finita!”.
Forse allora, anche di me, in una mia improbabile biografia scritta, si dirà che prima di diventare una valente “qualche cosa” sono stata baby sitter, cameriera, volantinatrice, commessa!
E se invece a tutti noi trentenni ci avessero fatto credere una cosa sbagliata e che la propria realizzazione risiede in altro che non sia il lavoro?
Personalmente non ho mai inteso il termine “in carriera” come sinonimo di arrampicata sociale e soldi a palate, ma di svolgere un lavoro in cui credere, che possa appassionare , per usare un termine sfruttato “che realizzasse”.
Siamo ancora delle Tess McGill: lottiamo non più per il successo ma per la dignità lavorativa! Lottiamo per non ingrigirci, per non spegnere la fiammella…ma quanto vanno stretti i panni di comprimaria se una si sente, nonostante tutto, una donna in carriera!
                                                                                                                                    J.